La flagranza dell'immagine

Nata

Relicta, n. 17, 1986
acrilico su tela, cm 100 x 140
Collezione privata, San Vito al Tagliamento

Dopo la formazione veneziana, sotto gli insegnamenti di Emilio Vedova, a metà degli anni Ottanta Nata si trasferì a Milano, pur mantenendo i contatti con la propria regione d’origine. È a questo periodo che risale il cospicuo ciclo di opere battezzato dalla penna di Giovanni Testori, in occasione della prima personale dell’artista presso la Studio d’Arte Cannaviello, con il nome di Relicta.

Si tratta di tele, in genere dallo sviluppo verticale e dalle imponenti dimensioni volte quasi a sopraffare l’osservatore, dove viene iterato un criterio compositivo incentrato sul contrastante dialogo di eterogenei elementi: da una parte figure amorfe e frammentate, come in procinto di sfaldarsi a causa di uno stato di avanzata decomposizione; dall’altra piani e volumi caratterizzati da un aspetto solido e compatto che, in differenti scorci, sorreggono forme che si combinano o rimangono tra loro irrelate. La pittura, che palesa precise vicinanze con quanto negli stessi anni si stava attuando in ambito nordico, specialmente tedesco, viene condotta attraverso pennellate libere e immediate, dai contorni vigorosamente abbozzati ma dalle paste cromatiche sempre molto contenute, incentrate sui toni caliginosi delle terre, dei verdi e dei neri.

Non è scontato definire la precisa iconografia dei Relicta che, pur trascendendo l’autobiografismo, sembrano parafrasi di una condizione umana tormentata eppure ancora carica di energia inespressa: a volte si scoprono chiaramente rostri di colonne corinzie, lacerti metallici, brani antropomorfi o insettiformi come fossilizzati; ma è più frequente che l’opera si articoli sotto la cifra dell’ambiguità e del continuo valore metamorfico. Certo è che i dipinti di Nata di questo periodo sono contraddistinti da un preciso coefficiente volto all’enfasi, al gusto per il teatrale suggerito dalla drammatizzazione di immagini scandite da accelerazioni prospettiche e secchi sbattimenti luminosi. Forse non è un caso – come ha ricordato lo stesso artista – che all’origine di simili lavori abbia agito anche un lontano ricordo di certe opulente e cupe Vanitas seicentesche: i Relicta, macchine sceniche costruite per principio di accumulazione, allora, incarnerebbero una sorta di trascrittura, formalmente corsiva e aggiornata secondo una gravitas tutta contemporanea, di quei modelli, come dopo un cataclisma, un naufragio.

Fabio Belloni
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