Palinsesti 2011: Il Premio

Premio “In sesto” Il luogo come arte

Terza edizione del Premio di scultura e installazione nello spazio urbano a votazione pubblica. Quest'anno il Premio è dedicato alle giovani generazioni di artisti operanti nel territorio. Selezionati da una commissione di esperti, gli artisti esporranno i loro progetti per un'opera d'arte destinata agli spazi degli ex-Essiccatoi Bozzoli, attualmente in fase di restauro e riqualificazione.

Presso la Fondazione Furlan di Pordenone esporrà il duo, vincitore dell'edizione 2010, Marotta & Russo.

Progetto vincitore

Il progetto più votato dal pubblico e che ha vinto l'edizione 2011 del Premio "In sesto" è Galeta di Anna Pontel.

Commissione selezionatrice:

  • Marco Minuz,
  • Laura Safred,
  • Paolo Toffolutti,
  • Eva Comuzzi.

Artisti selezionati:

Ludovico Bomben (Pordenone, 1982)

Opera in concorso: "La casa per l'albero", 2011

L'idea di La casa per l'albero è nata dopo una lunga riflessione sui luoghi che ospiteranno l'opera e sulle persone che la fruiranno. Sono certo che la fascinazione della casa sull'albero appartenga alla maggior parte dei giovani, a prescindere dalle generazioni, poiché coincide con l'archetipo del nido, del riparo, della protezione e del contatto con la natura. La casa per l'albero non sarà direttamente legata al tronco, ma verrà collocata vicino ai rami che, in parte, la ingloberanno. La forma comunica con grande immediatezza il concetto di casa attraverso la scelta del classico tetto a due falde che crea, però, un distacco netto tra le forme naturali dell'albero e la struttura. La copertura superiore e l'accesso dalle scale saranno realizzati in lamiera forata. All'interno si creerà una situazione percettiva molto particolare in quanto la luce verrà filtrata dalla lamiera in tanti piccoli fasci luminosi. L'intento è offrire ai visitatori la possibilità di uno spazio in cui potersi estraniare, dove fermarsi per qualche istante e ritrovare contatto con se stessi attraverso la natura.

Ludovico Bomben

Ludovico Bomben non gioca più. Preferisce progettare e costruire dispositivi esplosivi; costruzioni apparentemente ordinate, pulite e geometriche, ma finalizzate invece a detonare all’improvviso per renderci, anche per pochi attimi, soli con noi stessi, disorientati e privi di punti di riferimento. Non cerca carneficine bensì stragi di certezze, arroganze, presunzioni, perché, come lui ripete, il suo fine è “portare via” l’osservatore da qualche parte; a volte solo per pochi istanti, ma comunque per una frazione sufficiente a distoglierlo dalla banalità e farlo così riappropriare della consapevolezza che stiamo vivendo e inesorabilmente anche un po’ morendo. Il suo lavoro ci spinge verso spazi imprevisti mediante la costruzione di alcove in grado di farci percepire tensioni e rapporti invisibili. L’alfabeto delle sue opere si compone di materiali della quotidianità impacchettati in geometriche composizioni spesso di grandi dimensioni. Non una grandezza di presunzione, bensì la necessaria misura per far percepire quell’invisibile che lui vuole maneggiare. Le sue sono solide strutture in grado di mostrare qualcos’altro; ombre, visioni, cose invisibili che noi possiamo cogliere nelle nostre reazioni. Le sue opere non ammiccano, né vogliono sedurre; sembrano solo tentativi schietti per provare a domare il nostro cinico mondo. Validi insegnamenti per diventare “candidi come colombe ed astuti come serpenti”.

Marco Minuz

44 + 0, 2009 installazione ambientale

Autografos, 2010 penna biro su carta
108 x 160 cm

Write me/2 , 2009 matite e pannello
130 x 200 x 50 cm

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Anna Pontel (Ajello del Friuli, 1974)

Opera in concorso: "Galeta", 2011

L'idea nasce dalla necessità di creare uno spazio intimo all'interno di uno spazio sociale, tenendo in considerazione che i locali degli ex-Essiccatoi ospiteranno alcune attività ricreative ed istituzionali, tra cui il Centro di Aggregazione Giovanile. Galeta intende restituire alle persone un istante di riposo, di raccoglimento nella solitudine. Ciò che verrà fatto e portato all'interno del bozzolo è aperto: leggere un libro, ascoltare musica, assopirsi, o altro ancora. Ogni azione diventerà materia, l'oggetto stesso del progetto. Rivestito di un tessuto semitrasparente, che permetterà all'aria e alla luce di filtrare, il bozzolo lascerà comunque aperta la contaminazione con l'esterno. Comune a diverse regioni d'Italia, tra le quali il Friuli, Galeta è un termine dialettale che significa “bozzolo”, l'involucro di seta all'interno del quale il baco diventa prima crisalide e poi farfalla. Questo fenomeno di metamorfosi che si origina e si sviluppa senza interventi esterni mi affascina e mi spinge a riflettere sulla mia trasformazione e sulla possibilità di migliorarmi. Galeta invita le persone ad abbozzolarsi e poi sfarfallarsi.

Anna Pontel

Fin dalle sue prime opere del 1999, Anna Pontel - nata ad Ajello e ora attiva a Trieste dove ha lo studio e insegna - focalizza il tema della propria ricerca artistica: il corpo e la rappresentazione della sua assenza attraverso il linguaggio della scultura. Il carattere particolare di questa ricerca è costituito dall’idea di opera come involucro, guscio destinato a contenere, proteggere e dar forma a un’idea di corpo che scompare, si trasforma o si presenta in modi inattesi. Si tratta quindi di una ricerca sul vuoto piuttosto che sul pieno, sperimentata con l’uso di tecniche e materiali naturali e artificiali, che dimostrano l’inclinazione dell’artista alla costruzione di sculture complesse e allo stesso tempo leggere. Anna Pontel ha esposto in Hicetnunc (1999, 2001 e 2004), alla Galleria d’arte moderna di Trieste (2005), alla Galleria d’arte contemporanea di Monfalcone (2006 e 2009), in numerose mostre e laboratori artistici; in particolare ha realizzato due opere per Passariano (Non è il giallo di squeezable, 2001 e Fragile, 2008), dove ha stabilito un dialogo aperto, ironico e fiabesco, con lo spazio storico di Villa Manin. Anche nell’ex-Essicatoio bozzoli di San Vito al Tagliamento la scultura di Anna Pontel si modella sensibilmente su di un rapporto dinamico tra le strutture materiali della tradizione e l’immaterialità dell’immaginario contemporaneo.

Laura Safred

Galeta, 2011 Progetto per spazio pubblico

Oggetto da compagnia. 632.225 punti di pechinese
supermercerizzato, 2008
filo di cotone cablè 5, ovatta di poliestere, stampa digitale
dimensioni variabili
foto Elena Sverzut e Eugenio Pontel

Trionfo da tavola, 2010 cartone da imballaggio, nastro in carta e legno
210 x 150 x 150 cm
foto Elena Sverzut e Eugenio Pontel

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Matteo Attruia (Sacile, 1973)

Opera in concorso: "Eroe", 2011

Quando sono stato a presentare un progetto per uno spazio pubblico, mi sono subito concentrato sulla parola “pubblico”. Sia come luogo che come somma degli individui di un gruppo sociale. Ho pensato che fosse necessario finalmente celebrare i presenti, i fruitori, gli osservatori e tutte le molteplici che il pubblico può eseguire. Un monumento che parlasse, per una volta dei “non-caduti”. Con allegria ed ironia. E soprattutto leggerezza. Eroe dunque. Chi è l'eroe oggi? Ha senso l'eroe? È forse scappato? Il piedistallo è vuoto. Non ha ombra sopra. Chiede di essere calpestato? O chiede di essere solo osservato? Il pubblico decide. Il monumento è un non-monumento. L'azione è libera. Ognuno ha la possibilità di scegliere. Sorridendo e pensando. Senza vergogna e senza modestia. Metto a disposizione un elemento statico che crea un'azione... Forse gli scalini sono stati usati dall'eroe per scappare, lasciando a noi la possibilità di sostituirlo. Di prenderne il posto. Lascio lo spazio a tutti di interpretare con massima libertà questo oggetto che vive solo degli sguardi altrui. I vostri. L'importante è farci un pensierino.

Matteo Attruia

Matteo Attruia è un artista contemporaneo che si colloca in quell'area di ricerca teorizzata nel 2002 da Nicolas Bourriaud col termine "Postproduction" ed anticipata da Guy Debord, Asger Jorn e Gil Wolman nella seconda metà degli anni '50 come Internazionale Situazionista. In tale area il paradigma dell'oggetto-opera non costituisce in sé criterio per l'inquadramento della ricerca artistica; anzi, le pratiche del "détournement", della "dérive" della "appropriazione", della "cross-medialità" nella fruizione e creazione artistica, mediante l'utilizzo di immagini ed oggetti già in circolazione nel mercato culturale, servono a ridefinire il dominio dell'opera d'arte. L'arte d'indagine post-strutturalista, frequentata dall'artista, ci introduce in quell'area allargata della cultura osservata dagli studi antropologici, che fa sì che l'osservatore, e con lui l'opera, appaiano segnati dalle differenze sessuali, etniche, economiche che permettono d'inquadrarli. Il più delle volte l'intervento messo in atto da Matteo Attruia, può apparire come un gesto posto a metà tra un'opera di decostruzione volta a criticare l'idea di competenza, originalità, autorialità, proprietà ed una critica ideologica interessata a mettere in questione stereotipi imposti dal sistema dell'arte, a contraddire la sicurezza delle nostre letture iniziali, ad esporre la realtà che c'è dietro la rappresentazione. "Nella maggior parte dei casi – dice l’artista - l'intervento artistico è di carattere abusivo e viene abbandonato preferibilmente in spazi pubblici o non consueti".

Paolo Toffolutti

Tentativo di camminare sull'acqua, 2011 still frame da video

Nowhere, 2011 cartolina ritagliata
10 x 14 cm
collezione privata

Sto da dio, 2011 sigillo tombale modificato
54 x 80 cm

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Valerio Nicolai (Gorizia, 1988)

Opera in concorso: "Un'altalena", 2011

Un'altalena dorata come il sole e la luna, luccicante come le stelle. Un'altalena su cui puoi cullarti lievemente, sino a ritrovare il sonno o, al contrario, dove puoi spingerti violentemente fra le grida gioiose rivolte al cielo, fino a sentire l'ebrezza della salita e il tonfo della discesa, della caduta. Quanti brividi hai provato quando ti sollevavi da terra, tendendoti e flettendoti con le ginocchia? Poi, all'improvviso, qualcosa si è rotto e ora l'altalena è sempre lì, ma 'sbucciata' come le tue ginocchia. Ti ricordi quando volavi spensierato? Sono attraversate da venature romantiche e profondamente malinconiche le opere di Valerio Nicolai, scenografie di un presente ammuffito dal ricordo dell'infanzia. La sua pittura organica brulica di momenti presenti e passati rubati al vissuto personale, ai social networks e ai mass media, mettendone in risalto un disagio sempre velato dall'ironia. Le sue installazioni sono monumenti a qualcosa che è caduto in noi ed evidenziano quanto, nonostante la spinta sia in avanti, il nostro dondolio vada sempre all'indietro.

Eva Comuzzi

Il mondo che da qualche tempo cerco di scorgere nelle tortuosità del mio cervello è alimentato da visioni allucinate, mescolate alla grande memoria che possediamo. Sono le favole che non smetto mai di raccontarmi, che forse in realtà sono sempre esistite e che vegliano sotto le vesti di qualsiasi avvenimento. Tendo a cercare nel ricordo dei miei anni, nel ricordo del ricordo, nel pensiero, nel sogno, un luogo sotterrato, infinitamente magico, dove il male è solamente bello e proprio per questo fa paura. Il mio lavoro diventa estremamente passionale nel momento in cui ricerco queste memorie e le faccio fuoriuscire come scene teatrali facenti parte di un’unica opera. La mia idea nasce quindi da un ibrido partorito nel momento in cui passato, visione del presente e pensiero si mescolano e inglobano anche ciò che mi è attorno. Tutto ciò mi permette di utilizzare diverse tecniche e diversi stilemi. Durante la realizzazione dell'opera sono trasportato: è la mente che guida la mano. C’è un attimo in cui il lavoro sembra si sia fatto da solo e mi sembra una cosa già vista, abbandonata da secoli.

Valerio Nicolai

Ante litteram, 2011 tecnica mista su tela
50 x 70 cm

Io non so chi sono, 2011 olio su tela
150 x 100 cm

Stanze, 2011 olio su tela
195 x 182 cm

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