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Giulio Bensasson, Non so dove, non so quando, 2017
stampa fotografica inkjet su carta opalina, lightbox in alluminio
trittico, 31x41x3 cm (ciascun elemento)
courtesy dell’artista

Giulio Bensasson

Se volessimo tracciare una linea immaginaria che suddivida nettamente il dominio di tutto ciò che è naturale, vivo e spontaneo da tutto ciò che può essere definito artificiale, culturale o scientifico, a intersecare questa linea troveremmo molte delle opere dell’artista Giulio Bensasson. Egli lavora infatti con combinazioni di sostanze naturali e materiali artificiali, realizzando oggetti, collage o installazioni che esplorano i temi dello scorrere del tempo e della sua sospensione. L’artista interviene a livello simbolico ed estetico sul confine tra vita e non vita, rimandando a tradizioni artistiche quali la natura morta pittorica o lo still-life fotografico, così come a tecniche museali usate nelle collezioni di storia naturale.
Slow motion (2017) è un’installazione composta da nove pere incorporate singolarmente in blocchi di resina epossidrica trasparente, un prodotto chimico che isola il materiale organico dall’atmosfera esterna e ne rallenta il naturale disfacimento. Attraverso questa manipolazione, il frutto non può realizzare il proprio compito, che è quello di decomporsi e generare una nuova pianta. È invece condannato a restare come congelato in un eterno presente, in quella che è un’amplificazione innaturale del breve lasso di tempo che solitamente separa la morte e la decomposizione dalla nascita di nuova vita. Il carattere temporale e processuale dell’installazione è reso anche dall’instabile composizione chimica della resina che, nonostante l’apparenza solida, nel corso del tempo continuerà a mutare con assestamenti impercettibili.
Anche Non so dove, non so quando (2016) si basa su un processo di disfacimento, in questo caso di un supporto fotografico come le diapositive. Con una serie di light-box, Bensasson mette in mostra alcuni ingrandimenti fotografici di diapositive trovate, le quali sono ormai rese illeggibili dalla muffa. Il titolo fa riferimento all’impossibilità di decifrare l’immagine originariamente ritratta, spesso completamente persa a causa della corruzione del supporto. In questo caso l’immagine fotografica, intesa come la sospensione indefinita di un istante singolo all’interno dello scorrere del tempo, ritorna viva grazie all’azione di microrganismi e batteri che le aggiungono una nuova dimensione temporale. Questo processo viene tenuto attivo da Bensasson, che inumidisce le muffe sulle diapositive per mantenerle vive, fino al punto in cui lo sospende nuovamente stampando l’immagine su carta opalina, preservando nuovamente solo un attimo di questa seconda vita dell’immagine.