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Rachela Abbate, Earth’s Move (what happens when you breath), 2017
video digitale, 2’58’’
courtesy dell’artista

Rachela Abbate

Da tempo Rachela Abbate conduce una serrata ricerca estetica intorno al concetto di spazio, inteso non tanto come realtà fisica, quanto come entità sistemica. Le architetture che interessano Abbate sono soprattutto quelle intangibili ed astratte – sociali, relazionali o linguistiche – costrutti consolidati alla base dei nostri processi mentali. Allo spazio così connotato l’artista italo-tedesca contrappone l’idea di “non-spazio”, ovvero di apertura generata dalla prassi artistica stessa. L’opera d’arte per Abbate deve mettere in scacco il paradigma di conoscenze e coscienze vigente e stimolare (infinite) possibilità di pensiero/pensare.

Categories on Nature consta di 370 pagine estrapolate da diversi volumi (testi di Giordano Bruno, Kant, Derrida, Levi-Strauss, scelti non casualmente) collazionate a formare un unico libro non rilegato. In ogni foglio il testo è opportunamente oscurato da bande nere che ne compromettono la leggibilità. All’architettura del testo si contrappone così l’architettura costituita da bianchi e neri, vuoti e pieni. Abbate mette così alla berlina il citazionismo post-moderno e la sua tendenza a de-contestualizzare e manipolare sistematicamente il discorso. Ma soprattutto denuncia l’alfacentrismo occidentale e i suoi limiti. I campi neri che si alternano ritmicamente costituiscono un codice segnico che, sovrascrivendosi a quello verbale, suggerisce un’altra possibilità di lettura e visione e quindi di pensiero e cognizione.

In Geodesy-Theodicy (2017), l’artista riproduce nella sabbia i disegni del matematico ed astronomo arabo Al-Biruni che descrivono le rotazioni terrestri e planetarie. Richiamando il sistema bidimensionale tipico della cultura islamica, Abbate allude ad altre modalità di rappresentazione del mondo. Il pensiero occidentale spazializza la realtà per conoscerla e dominarla, ma ciò è al contempo pre-condizione necessaria e limite.

Nel video Earth’s Move (2017) per l’artista è l’atto stesso del respiro a costituire “non-spazio”.
Creare processi di trasformazione mentale, suscitare un cambiamento dell’immaginario del pubblico, stimolare nuovi modelli di pensiero sono tra i fini che Rachela Abbate persegue attraverso le sue opere d’arte, lavori site specific, interdisciplinari, plurimediali e metalinguistici. L’artista non realizza oggetti né tanto meno persegue risultati estetici epidermici, ma predispone dispositivi destinati al pubblico per attivarlo. La sua è dunque un’arte concettuale e partecipativa, tesa a generare cambiamento sociale, culturale e politico.