La flagranza dell'immagine

Manuela Sedmach

(teatro) Senza titolo, 1987
olio su tela, cm 150 x 195.

Dopo essersi diplomata all’Istituto d’Arte di Trieste, ha esordito nel 1982 presso l’Associazione Culturale L’Officina a Trieste, con un’installazione intitolata Il Tempo, la Fama e la Chimera. L’opera era estesa all’intero spazio espositivo, con enormi figure sagomate dipinte e sospese ad un fondo di cielo o che si appoggiavano al pavimento. L’installazione era accompagnata da una performance musicale della stessa Sedmach; se da un lato la sua esperienza si legava ancora all’arte concettuale e performativa del decennio precedente, dall’altro inaugurava una stagione pittorica, in cui emergeva l’affermarsi in piena autonomia della forma e del colore.

La nuova via era quella dell’astrazione, o meglio di una sua ibridazione costante con immagini oggettive. Nel 1986 la nuova forza pittorica su cui poggiava il lavoro di Sedmach si dichiarava attraverso una materia corposa, tangibile sulle sue tele, sull’esempio di certa pittura informale degli anni Cinquanta del Novecento. Questa rappresentava una fase più matura dell’artista, verso una pittura bruta. Un’attenta analisi critica nelle opere di Sedmach evidenzia una sensibilità tutta romantica che si manifesta con una materia cromatica densa ed impetuosa, come una colata lavica. Le sue matrici, in un discorso di citazione più della tecnica pittorica che della figurazione, si mostrano nell’utilizzo di certi bitumi tipici della pittura barocca in cui il colore, giocato solo su neri e affondi di bianchi, tuttavia diviene sintomo di un umore primordiale.

L’immergersi di Sedmach in una tensione continua tra astratto e figurativo ha nei colori, dai toni cupi recitati sulla superficie del quadro, una mirabile presa sulla stessa percezione visiva di chi osserva. Il suo scavare nella materia è, sicuramente, un debito verso la stagione neo-informale. La pittrice triestina ha espresso i suoi sentimenti romantici attraverso quadri senza titolo, cosa che rinvierebbe ad un’idea di sublime indefinibile. Un sublime che pervadeva – e pervade tuttora - la sua visione del mondo, sia con la rappresentazione di oggetti inanimati, al cui figura è scagliata nel materia della pittura, come Senza Titolo del 1986, sia con la raffigurazione delle rovine e di paesaggi di tempi a venire.

Giovanni Rubino
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