La flagranza dell'immagine

Mario Di Iorio

Assedio (Arlecchino), 1986
Tecnica mista su tela, cm 150 x 100
Galleria Clocchiatti

Trasferitosi con la famiglia a Gorizia, Di Iorio si diplomò all’Istituto d’Arte ‘Max Fabiani’, per poi iscriversi, nei primi anni ’80, all’Accademia di Venezia. Di Iorio iniziò ad esporre giovanissimo, all’età di diciassette anni e, negli anni successivi all’Accademia, si dedicò anche all’insegnamento, giungendo negli anni Novanta a vincere il concorso di Assistente di Pittura all’Accademia di Brera a Milano. Tra la fine degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta, Di Iorio guardò sia ad un tardo futurismo, con ironiche geometrie meccaniche, sia all’astrazione della pittura analitica dei primi anni Settanta. Il risultato fu una serie di particolari «nature morte»: scatole – come Scatola con forme a mezz’aria del 1981 - che esplodevano liberando nello spazio della pittura, frammenti di geometrie ed inserti a bande policrome.

Entro la metà del decennio, passando attraverso una particolare osservazione dell’opera di Picasso, il gesto sopraffece la geometria, rivelando, sempre attraverso poche cromie, un’ansia scaturita da un precario equilibrio umano che stava conducendo Di Iorio verso un abisso dal quale non sarebbe più emerso, fino al suo tragico epilogo. Nel 1985 il lavoro di Di Iorio era ormai decisamente orientato al recupero dell’espressionismo astratto, pur se la sua pittura si poneva ai confini tra arte astratta e figurazione, in cui, però, i veri contenuti erano la forza e la misura del gesto pittorico. La sua è stata un’operazione accomunabile al recupero della tradizione pittorica negli anni Ottanta.

Di Iorio, diversamente da quanti guardavano ad una tradizione figurativa italiana, preferì recuperare la lezione astratta e gestuale di Vedova, tentando una continuità col passato linguaggio informale. Gli stessi titoli di molte delle sue opere manifestavano la riverenza verso la folgorante stagione dell’informale italiano, ma ancor di più i titoli sono stati un tributo al daimòn intrinseco di quella poetica. Ad una protesta che da collettiva si faceva dichiarazione esistenziale, Di Iorio sigillava le sue tele con veri e propri frammenti di illuminazioni interiori, come lo è stato per Lo spirito errante (1984), Assedio (1986) o Strappato (1987).

Giovanni Rubino
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