Premio In sesto

Arte, storia, natura

Giunto alla sesta edizione, il Premio di scultura e installazione nello spazio urbano vede protagonisti quattro artisti operanti nel territorio regionale, selezionati da una commissione interna. Gli artisti esporranno i loro progetti per un'opera d'arte destinata ad uno degli spazi pubblici di San Vito al Tagliamento e, come di consuetudine, il verdetto finale sarà affidato alla votazione del pubblico. Per questa sesta edizione il premio si arricchisce ulteriormente, grazie alla preziosa collaborazione con la Scuola Mosaicisti del Friuli di Spilimbergo. La Scuola, attraverso la partecipazione del proprio corpo docenti e studentesco, per mezzo della tecnica del mosaico e coadiuvata dalla presenza dell'artista, si occuperà della realizzazione dell'opera vincitrice. Presso la Fondazione Furlan di Pordenone esporrà Guerrino Dirindin, artista vincitore dell'edizione 2013 dello stesso premio.

Artisti selezionati:
Bruno Fadel, Paolo Figar, Robin Soave, Gian Carlo Venuto

Vincitore edizione 2013: Guerrino Dirindin

Vincitore edizione 2014:
Bruno Fadel, con l'opera "Racconto"

Antiche Carceri, San Vito al Tagliamento
Fondazione Ado Furlan, Pordenone

A cura di Giovanni Rubino
con la collaborazione di Isabella Brezigar

Bruno Fadel

Bruno Fadel appartiene alla schiera di pittori che, attraversate le intemperie concettuali degli anni Settanta, sono rimasti fedeli alla superficie pittorica come spazio senza soluzione di continuità tra l'"io" e il mondo. La sua pittura è una registrazione di accadimenti segnici e materici, senza dimenticare di mutuare proprio dal decennio Settanta una certa dose di concettualismo, ravvisabile nella stessa idea di serialità e riporto fotografico. Inoltre, la sua ricerca pittorica si muove sul doppio binario del sentimento – come atto del sentire – verso l’inconscio e verso il conscio. All’inconscio si riferiscono il gesto, il grumo di colore e la forte espressività delle forme; al conscio è riconducibile l’attenzione al dettaglio, inteso come attitudine a esplorare il mondo degli oggetti – e delle architetture – rapportandoli al loro manifestarsi come fenomeno. In tal modo il pittore accetta il rischio di fallire nella sua impresa, che romanticamente mira ad afferrare l’intima essenza delle cose.

Progettare un’opera d’arte per il vano scale principale dell'Essiccatoio Bozzoli è una sfida interessante sia da un punto di vista artistico-installativo, che interpretativo. Manufatto nato come opificio di torcitoio, divenuto filatoio per la seta con una forza lavoro al femminile, oggi l'edificio si apre a nuove proposte di aggregazione con spazi dedicati ai giovani. Cogliere il significato profondo del messaggio della storia e proiettarlo nel nuovo tempo affinché nulla vada sprecato è l’obiettivo che mi ha spinto a progettare una struttura composta di due triangoli: il primo abbraccia l’orizzontalità della struttura, il secondo è proiettato nella verticalità del divenire. Le due strutture – su cui si stagliano legno, ferro, seta, acciaio, vetro, pietre, e così via – dialogano tra loro e con lo spazio circostante per fissare ciò che passa e lascia una traccia dentro e fuori di noi, per raccontare il passato, dire il presente, progettare il futuro. Una struttura che non s’impone al visitatore che varca la soglia – deve infatti girarsi ed alzare lo sguardo per vederla – ma che è un invito a fermarsi e a dialogare. (Bruno Fadel)

Momenti, 2003 - tecnica mista e legno, 230,5 x 55,5 cm (dettaglio)

Racconto, Progetto per il Premio In sesto 2014

Paolo Figar

Dalla pittura alla grafica, alla scultura e ritorno, è la somma stilistica e tecnica di Paolo Figar, al centro della cui ricerca vi è sempre l’umanità di esseri antropomorfi “attraversati” da entità animali, come i pesci, oppure calati nella contemporaneità in abiti avveniristici, che indossano uniformi d’astronauta. Se nella pittura i soggetti e le figure spaziano da temi marcatamente surreali e orientaleggianti – come i lottatori di sumo – le sue statue lignee si offrono in una duplice lettura: da una parte mostrano superfici cromatiche scabre – grazie a una lavorazione che ne rivela il materiale e la forza dello scalpello – dall’altra manifestano un loro stato sognante. Quest’ultimo aspetto, infatti, esercita un fascino che attraverso tale atmosfera onirica s’impone a noi. Gli occhi aperti sono una vera e propria strategia comunicativa e rivolgendosi al nostro tempo presente, come nella tradizione delle maschere e nella statuaria antica, sono messaggeri di uno "stupore" oltremondano.

"La scienza non è nient'altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell'umanità."
Nikola Tesla

Scultura polimaterica con parte in mosaico marmoreo e vitreo e fusione in alluminio. Tra i possibili luoghi di San Vito al Tagliamento in cui collocare un’opera scultorea ho scelto la zona del Parco Rota dove già si trova un monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale. L'occasione di dialogo con il monumento e la ricorrenza del centenario della Prima Guerra Mondiale mi hanno attratto. Ho intravisto la duplice possibilità di progettare un’opera pubblica commemorativa, scardinando il significato classico del monumento celebrativo: l'immediatezza di questa scultura ribalta infatti la celebrazione dell'eroismo propagandistico mostrando con forza l'anti-umanità della guerra e il cattivo utilizzo dell'ingegno umano; allo stesso tempo si pone comunque come memoria critica per i problemi del presente e del futuro. Sulla bomba campeggia il numero totale stimato delle vittime militari e civili della Prima Guerra Mondiale: 17.379.773; se tra loro ci fossero stati i miei nonni (allora bambini) io non ci sarei, e nemmeno i miei figli. Il bambino è l'umanità innocente, la vita all'alba, è diretto dalla parte opposta alla bomba, il futuro di questa è il passato del bimbo. Infine il titolo gioca sui significati di perdita e di civiltà: “perdita” di persone che non sono mai nate, vite, conoscenze, storie scomparse; “civiltà” nel senso di cultura, progresso, valori, tradizioni e tecnologie che caratterizzano un'evoluzione della qualità della vita in una comunità. (Paolo Figar)

Sirena - polena, 2011 - cirmolo policromo, 130 cm

Civiltà perduta, Progetto per il Premio In sesto 2014

Robin Soave

Forme organiche sono il risultato del processo di modellazione che Robin Soave attua distaccando i volumi e i profili dal materiale bruto della pietra. I corpi solidi sono strutture conchiuse e ritagliate entro lo spazio dell’osservatore. Le sue sculture, anche in legno, dialogano col paesaggio, marcano il territorio di cui diventano un perno accentratore di attenzione. La luce naturale le percorre, aderisce alle curvilinee zone di pieni e di vuoto, le scava e le riempie, l’euritmia di depressioni e rigonfiamenti è nell’organicità della materia stessa. I volumi così generati sono ottenuti dai materiali letteralmente in-formati, per offrire immagini di creature "altre", ibridi di esseri a metà strada tra presenze zoomorfe e fitomorfe. Oltre la visione, il tatto è l’altro senso d’eccellenza per l’esplorazione di queste opere. Lasciare scorrere la mano sulle superfici polite o di porosità appena accennate, dai marmi alla pietra calcarea, provoca una sensazione giocosa e allo stesso tempo sensuale.

Il personaggio de La Pimpa nasce a San Vito al Tagliamento nel 1975 dalla fantasia di Francesco Tullio Altan ed è dedicato alla figlia. Ormai famosa, la Pimpa entra nel modo della televisione e del teatro e, con il passare degli anni, si circonda di nuovi personaggi. L'autore ed il personaggio sono quindi parte della storia di San Vito al Tagliamento. L'idea di dedicare una scultura alla Pimpa nasce dalla volontà di rendere omaggio ad entrambe le figure indubbiamente legate al territorio. Il luogo prescelto per la collocazione dell’opera è l’area del Parco Rota verso l'uscita sul canale in via delle Fosse, dove sono già collocate la panchina colorata e la scultura in ferro. Una scultura che dialoga con le altre ed arricchisce il parco scultoreo. Un'opera di immediata lettura e di facile fruibilità da parte di tutti i visitatori, sia grandi che piccoli, invitati a toccarla e ad accarezzarla senza problemi. Il materiale per la realizzazione è il marmo di Lasa bianco con finitura semilucida, tutti i caratteristici pois della Pimpa saranno realizzati in mosaico rosso. (Robin Soave)

Ballerina, 2010 - bronzo, 45 x 15 x 12 cm

Altan e la Pimpa, Progetto per il Premio In sesto 2014

Gian Carlo Venuto

Gian Carlo Venuto è un artista nomade e vorace che dagli anni Settanta a oggi, raggiungendo la fama negli anni Ottanta – etichettati come depositari della nuova tradizione della Transavanguardia – si è sempre confrontato con la storia. Venuto, per mezzo di una continua ricerca tecnica pittorica intesa come insieme d’impasti, cromie e superfici, ha letteralmente attraversato, infatti, la storia dell’arte italiana e non solo. La sua formazione e i successivi sviluppi, fino alle opere più recenti, manifestano il continuo rimescolare d’immagini, figure e narrazioni. La tela come campo di accadimenti immaginativi non è solo spazio retinico ma è anche un’operazione mentale, atta a codificare e ri-codificare i segni e le forme della natura. Le sue nuvole e i suoi cieli, come nella tradizione manierista, non sono solo rappresentati ma assumono valori autonomi. Anche i fiori, come allegorie d’impulsi inconsci, ci pongono di fronte all’effetto che potremmo definire della natura e del suo doppio.

L’intervento, ideato per reinterpretare nella sua attuale molteplicità di funzioni l’ambiente dell'Essiccatoio Bozzoli di San Vito al Tagliamento, si basa sullo schema lineare del Tangram, il gioco di pazienza cinese che prevede la scomposizione di un quadrato in sette figure geometriche triangolari e quadrangolari. Un Tangram realizzato in pietra (dimensione cm 230 x 230) costituirà, sul pavimento alla base del vano scale dell'Essiccatoio, il primo elemento dell’installazione, in grado di fornire al fruitore la chiave per decodificare il suo sviluppo sulle pareti soprastanti. Su di esse, la struttura del Tangram verrà riproposta secondo una logica proiettiva, che ne esalti le diagonali quali articolazioni interne di massima tensione, nei suoi singoli elementi costitutivi: le figure geometriche, che vogliono alludere al dinamico ricomporsi in organismo unitario delle varie entità ospitate dal contenitore architettonico (dalle associazioni culturali ai servizi alla persona, per giungere, all’ultimo piano, alla galleria d’arte contemporanea) si collocheranno lungo le direttrici lineari tracciate sull’intonaco con l’antica tecnica della “battitura dei fili”. Ogni elemento, realizzato ad affresco con inserzioni di tessere musive, si svilupperà plasticamente sporgendo dalla parete e venendo quindi a stimolare un’interferenza visiva fra l’immagine costruita dal complesso dei sette frammenti pittorici (quella di un cielo, con le sue variegate densità di luce e colore) e lo spazio ad essa prossimo offerto alla pubblica frequentazione. (Gian Carlo Venuto)

Costellazione, 2007/2008 - affresco, mosaico, encausto - Ø 30, 35, 45 cm

Tangram, Progetto per il Premio In sesto 2014

Vincitore edizione 2013

Guerrino Dirindin

Mostra personale presso la Fondazione Ado Furlan
a cura di Antonio Garlatti

"Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente" (Genesi, 2,7)

Guerrino Dirindin si sente un navigatore, come i suoi avi ai tempi della Serenissima Repubblica, che nella terra ha trovato il suo approdo. Materia primordiale, la terra, che ricorda, ai più, senso di sporcizia, pesantezza, fatica. Per Dirindin non è così. La sua tensione creativa lo porta a cercare di arrivare al cielo con la terra. Come homo faber plasma questo elemento, consapevole però che l’idea è preesistente all’atto creativo. Compito dell’artista – Michelangelo docet – è renderla visibile. I solchi più o meno profondi, le spaccature, i corrugamenti, presenti nelle sue opere, invitano lo spettatore ad entrare, a portare lo sguardo all’interno del grembo della madre terra, dove tutto ha origine e tutto, ciclicamente, ritorna. Un appello, quello dell’artista, a guardare la terra, a sentirsi terra, per ritrovare noi stessi, le nostre origini, il senso della vita.

Con l’opera La gabbia dei sogni – progettata per il cortile delle antiche carceri austriache di San Vito al Tagliamento e vincitrice dell’edizione 2013 del Premio In Sesto – l’artista mette a confronto due pensieri contrastanti fra loro: reclusione e libertà. Da una gabbia metallica, simbolo di prigionia, si sviluppa un albero, i cui rami in legno salgono verso il cielo e oltrepassano le mura di recinzione delle antiche carceri. E come ci ricorda lo stesso autore: "Non si possono rinchiudere i sogni. La gabbia si torce e si apre alla poetica della creatività, si dilata e si modifica al sogno di libertà".

La gabbia dei sogni, 2013 - acciaio inox e legno, 570 x 300 x 300 cm