Con l’opera Simple confession – realizzata in occasione di questa mostra – Christian Fogarolli porta avanti la sua consueta riflessione su temi fondamentali quali il rapporto uomo-natura e il rapporto uomo-scienza. Egli prosegue anche, parallelamente, la sua indagine sulle istanze della conoscenza e della ricerca, quali motori dell’esistenza umana.

In Simple confession (2016) ci troviamo di fronte a un’installazione che prende spunto dalla “valvola antisismica” studiata e costruita da un ricercatore visionario che impostò le sue teorie su basi scientifiche ma anche filosofiche: Pier Luigi Ighina (1908-2004). Egli, nel corso della sua lunga vita, elaborò numerose teorie fisiche e realizzò diversi marchingegni volti a risolvere problemi connessi con la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra, tra cui gli eventi atmosferici e i terremoti. La “valvola antisismica”, come facilmente deducibile dal suo nome, è stata inventata al fine di evitare le scosse telluriche e si dice che Imola – città in cui egli lavorò – fu risparmiata dal terremoto del 1985 proprio per la presenza, sul suo territorio, di uno di questi strumenti.

Christian Fogarolli, nella sua opera, ricostruisce questa struttura a doppio tetraedro: non ne conficca però una metà nel terreno, come previsto dal progetto di Ighina, ma sceglie di mostrarci il solido nella sua interezza, nella sua purezza formale vicina a quella di una scultura astratta. L’artista aggiunge a quest’oggetto anche una traccia sonora, udibile da degli auricolari che fuoriescono da una sua estremità. Ecco che da questo lavoro parascientifico possiamo dunque ascoltare, eseguito da un violino, un brano di Francis Thomé (1850-1909): Simple Aveu – confessione semplice – che dà anche il titolo all’intera opera di Fogarolli. Questa composizione musicale è presente in due forme: quella sonora – già citata – e quella visiva; a completamento dell’installazione, infatti, l’artista presenta anche un rotolo cartaceo traforato, lungo circa 10 metri: si tratta di un tracciato sonoro utilizzato – a inizio Novecento – per far funzionare i pianoforti automatici. Questo rotolo si presenta, anch’esso, come una sorta di visione astratta; nelle sue fattezze, in aggiunta, è molto più simile a un tracciato sismografico che a un più tradizionale spartito musicale. In tal modo, quindi, Christian Fogarolli ci pone davanti a un oggetto misterioso che – come nella miglior tradizione del sublime artistico – propone un accostamento tra la bellezza estetica (il brano musicale, la “scultura”, il tracciato in rotolo) e la paura per la propria incolumità fisica (la distruzione provocata da un sisma e il tentativo molto umano di prevenire la tragedia naturale).