Così come nel romanzo di Jules Verne Ventimila leghe sotto i mari (1870) «la forza creatrice della natura vince l’istinto distruttore dell’uomo», nel ciclo di opere Aria buia di Silvia Mariotti la bellezza del sublime naturale domina sull’orrore della storia umana.

In Abisso Plutone (Aria buia) (2015) ci troviamo di fronte alla documentazione fotografica di una foiba, una di quelle fenditure profonde tipiche – assieme ad altri fenomeni geologici quali le doline, i Karrenfelder, i crepacci, le cavità e le grotte – del territorio del Carso. Il fenomeno delle foibe, come si sa, ha però una doppia valenza. La prima, quella legata alla morfologia terrestre, incuriosisce da sempre gli uomini per la peculiarità di questo fenomeno geologico, riscontrabile solo in alcune ben determinate zone del nostro pianeta definite “carsiche” proprio perché è in questa regione, situata tra il Friuli Venezia Giulia, la Slovenia e la Croazia, che se ne sono studiate per la prima volta le caratteristiche scientifiche. La seconda valenza, altrettanto nota, è legata alle tristi vicende storiche che, soprattutto nel corso della Seconda Guerra Mondiale, hanno visto questi inghiottitoi divenire ignari protagonisti di tragiche vicende umane. Di fronte a questo doppio fenomeno Silvia Mariotti riesce a mantenere un atteggiamento da equilibrista funambola giocando continuamente, con grande eleganza ed equilibrio, tra questi diversi rimandi storici e geologici. La nozione che viene qui messa in gioco è ovviamente quella del sublime naturale, intrecciato però con il pensiero storico sull’età contemporanea. Si materializza così qui, di fronte ai nostri occhi, un duplice subliminale terrore: quello nei confronti della magnificenza della natura – che ci spaventa e allo stesso tempo attrae irresistibilmente – e quello verso la furia violenta dell’uomo, che non può che scatenare in noi sentimenti di paura, ma anche di disprezzo e vergogna. Quest’immagine delle foibe suscita poi in noi un’inevitabile riflessione sul tema del tempo. Questi pozzi verticali, infatti, sono il risultato di forze geologiche millenarie, ma anche testimoni di un tragico passato fin troppo recente. Queste faglie, queste “fratture”, rappresentano delle ferite inguaribili, nel territorio carsico così come nella nostra memoria. Solo la loro commovente bellezza, cristallizzata egregiamente nelle opere di Silvia Mariotti, può salvarci dall’oblio e dalla pura disperazione.