Astrazione povera: tre protagonisti

La parabola lunga un decennio del gruppo dell’Astrazione povera costituisce un esempio di particolare interesse per comprendere le dinamiche che ruotavano attorno alla pittura astratta negli anni Ottanta, soprattutto se poste in relazione a un contesto come quello romano, accecato dal trionfo commerciale e mass-mediale della figurazione neoespressionista della Transavanguardia di Achille Bonito Oliva. In quegli anni, a Roma, si poteva infatti osservare un ricco intreccio di esperienze volte al recupero dell’immagine e al superamento dell’atteggiamento concettuale. Realtà queste che si costituivano in gruppo, figlie di un sistema di critica e mercato che tendeva a favorire il riconoscimento sociale di un particolare linguaggio artistico quando esso si presentava unito sotto la bandiera di un comune intento espressivo.

All’interno di queste dinamiche e in totale contrapposizione alle tendenze allora dominanti, trovò spazio una particolare linea di ricerca astratta che, dalla fine degli anni Settanta e per l’intero arco del decennio successivo, perpetrò la pratica di una pittura essenziale, realizzata esclusivamente in bianco e nero (con alcune incursioni di rosso) che rivendicava l’importanza del processo costruttivo che doveva precedere la realizzazione dell’opera. Gli artisti che si riunirono con l’intento di definire questa nuova tendenza pittorica furono Gianni Asdrubali, Antonio Capaccio, Mariano Rossano e Rocco Salvia prima, seguiti poi da Annibel Cunoldi Attems, Mimmo Grillo, Bruno Querci e Lucia Romualdi: i pittori dell’Astrazione povera.

Partendo dalle sperimentazioni pratiche e teoriche nello spazio autogestito della romana via Sant’Agata dei Goti, il percorso del primo nucleo del gruppo si delineò grazie al dialogo con critici e galleristi attenti, come Simonetta Lux, Fulvio Abbate e soprattutto Gian Tomaso Liverani, storico proprietario della Galleria La Salita che fu tra i primi ad aprire le porte dei suoi spazi a questi artisti. Fondamentale e determinante fu il contributo dato da Filiberto Menna (Salerno, 1926 – Roma, 1989), storico e critico militante salernitano che a partire dal 1985 si assunse la responsabilità di guida teorica della giovane tendenza, battezzata di lì a poco col nome di Astrazione povera, promuovendo una serie di mostre e pubblicazioni di risonanza nazionale che oltre a delinearne il perimetro operativo, tentarono di inserire il progetto dell’Astrazione povera entro una linea di continuità con la tradizione astratta italiana.  

Le dinamiche del gruppo, però, non hanno annullato il carattere peculiare del lavoro individuale; ciò è ben espresso dalle opere di Asdrubali, Cunoldi e Querci, le cui ricerche toccano varie casistiche, dalle grafiche e tavole di piccolo formato al dispiegamento di ampio respiro dei dipinti che richiamano l’idea del telero.

La ricerca di Gianni Asdrubali, ad esempio, già dalla fine degli anni Settanta indaga la triade segno-spazio-colore, concentrandosi sul rapporto che intercorre tra azione-tensione presente nell’atto artistico. In Aggroblanda, opera appartenente all’omonima serie realizzata tra il 1983 e il 1984, Asdrubali tratta i temi del meno, dell’assenza e del vuoto attraverso ampie campiture di colore nero dall’andamento a parabola a cui si alternano zone dove il bianco della preparazione della tela viene lasciato a vista. A dispetto della rapidità del gesto, caratteristica preponderante della pratica artistica di Asdrubali, le linee tracciate presentano un andamento deciso ma controllato. Così come è controllato il segno che dà forma al dipinto Nemico del 1987, opera emblema di un periodo di transizione in cui si assiste ad una variazione nella rapidità del gesto e in cui lo spazio della tela accoglie linee dall’andamento sempre più serrato; transizione che arriva a totale compimento con la realizzazione della serie intitolata Eroica, realizzata nel 1988, dove la gestualità accelerata trasposta nel segno ora parla attraverso un vocabolario “quantico”.

Il lavoro di Annibel Cunoldi Attems, artista di origine goriziana, trova invece nel disegno e soprattutto nella grafica le basi fondamentali del suo approccio fin dai primissimi studi in campo artistico svolti a Parigi nel corso degli anni Settanta. Del periodo parigino numerose sono infatti le edizioni contenenti le sue incisioni realizzate nell’importante Atelier Lacourière-Frélaut. L’avvio del nuovo decennio porta la sua ricerca verso una linea astratta che punta ad una sintesi della struttura segnica, attuata mediante l’uso di elementi minimali quali linee secche, intersecate o sovrapposte tra loro; ciò è ben visibile nella serie di incisioni su rame intitolate Alibi, realizzate nel corso del 1985. Qui l’artista fa uso di immagini speculari e dell’elemento positivo-negativo per porre in evidenza come esistano sempre due lati diversi da cui osservare la medesima situazione. Nelle opere Significazione, Comunicazione e Diversificazione spicca la scelta del supporto di forma triangolare: questa figura geometrica, molto importante all’interno della produzione di Cunoldi Attems, viene utilizzata sia come mezzo per esprimere ed enfatizzare la tensione tra gli elementi, sia per evitare di racchiudere l’opera entro il formato standard della tela. Nel corso degli anni Ottanta l’artista inizia a lavorare su tele di grandi dimensioni dove le complesse trame astratte assumono ora anche valenze architettoniche; è il caso ad esempio del monumentale trittico intitolato Vitalità, unica opera della sezione che si discosta dal rigoroso bianco e nero per far spazio al binomio bianco-rosso, colore quest’ultimo utilizzato da Cunoldi Attems come indicatore di un contrasto “altro”.

Le opere di Bruno Querci, infine, mostrano bene il passaggio graduale dalle prime forme arcaiche di orientamento minimalista come Figura (1985) e Convergere (1985), a lavori maggiormente strutturati realizzati attraverso il contrappunto dei due binomi bianco-nero e figura-sfondo, evidenti nei dipinti intitolati Luogo (1986) e Progetto minimo (1987). I due dipinti della metà degli anni Ottanta presentano infatti ancora un rapporto di tipo gerarchico tra figura e sfondo: la superficie della tela è dominata da grandi forme nere dai contorni irregolari che dal centro paiono espandersi verso i lati del supporto, staccandosi per contrasto dal fondo chiaro lasciato allo stato grezzo dell’imprimitura. In opere come Progetto minimo e Luogo Querci invece approfondisce lo studio della superficie e inizia a considerare il fondo come parte attiva della composizione: invece di lasciarlo scarico di colore, lo dipinge di bianco bilanciando perfettamente il rapporto con il nero. Questo significa attivare nel fruitore una logica percettiva dello sguardo che alterna superficie a profondità grazie a tagli irregolari che attraversano la tela nella sua intera lunghezza. Fondamentale risulta essere in questa fase l’introduzione del concetto di luce: rispetto al periodo espressionista di Querci (1980-1984) in cui la componente luminosa era affidata all’uso del giallo, qui l’artista comprende che la “luce” si manifesta grazie all’interazione dei valori cromatici del bianco e del nero.

Magalì Cappellaro

Gianni Asdrubali, Aggroblanda, 1984
acrilico su tela
160x223 cm

Gianni Asdrubali, Nemico, 1987
acrilico su tela
190x223 cm

Annabel Cunoldi Attems, Significazione, 1990
acrilico su tela
157, 5x157, 5x157, 5 cm

Annabel Cunoldi Attems, Vitalità, 1988
olio su tela
trittico 200x600 cm

Bruno Querci, Convergere, 1985
acrilico su tela
70x100 cm

Bruno Querci, Luogo, 1986
acrilico su tela
70x100 cm