Nane Zavagno

La sala dedicata a Nane Zavagno vuole cercare di garantire allo spettatore la possibilità di uno spaccato quanto più completo possibile della lunga carriera dell’artista friulano. Le quattro opere qui presenti testimoniano infatti sia l’attività scultorea che pittorica, entrambe importanti per la sua produzione artistica estremamente poliedrica, permettendo così di evidenziare, in lavori realizzati su diversi supporti, similitudini e convergenze.

Due sono le sculture esposte, realizzate entrambe nei primi anni Duemila. La scultura in ferro di piccole dimensioni si costituisce di due elementi modulari a forma di saetta, che si intersecano all’altezza della punta in alto fino a formare una sorta di semicerchio su due piani sfalsati, cavo all’interno, in quanto definito solo dal perimetro. Pur nelle ridotte dimensioni, è possibile già intuire quel carattere di monumentalità tipico di molte opere di Zavagno e che, in questo caso, può far pensare alla possibilità di trasferire questa struttura in una scultura più grande. La stessa monumentalità, prima solo accennata, caratterizza invece la seconda scultura del 2001, la quale costituisce il fulcro prospettico e visivo dell’esposizione. Si tratta di un’opera formata da tre diversi blocchi modulari dai volumi geometrici ben definiti, realizzati tramite un reticolo metallico. Queste tipologie di strutture caratterizzano gli ultimi decenni di attività dello scultore. I tre moduli sono definiti dalla presenza di regolari linee rette e linee curve a formare tre elementi dalle dimensioni differenti, che richiamano le componenti di un nucleo familiare: una vera e propria sacra famiglia tradotta nelle forme più astratte della scultura. Il dato sicuramente più suggestivo e personale consiste nel contrasto fra la struttura volumetrica dell’insieme e la trasparenza della superficie, data dalla rete metallica. Questa permette una totale permeabilità, facendo sì che lo sguardo dello spettatore attraversi la struttura stessa, mettendola in diretta relazione con lo spazio circostante. La texture della scultura, data dalla rete, permette la creazione di un dialogo vivo e complesso con la luce, così come con lo sguardo dello spettatore, per un risultato in continuo divenire. I volumi essenziali proposti plasticamente da Zavagno e quindi i sistemi modulari derivati dalle sue esperienze artistiche vicine all’optical, entrano così in diretta relazione con la concezione organica della natura. Risulta infatti importante sottolineare che in molte occasioni queste tipologie di lavori vennero collocati dallo stesso autore all’aperto, creando un rapporto con l’ambiente circostante totalizzante e privo di filtri. Come osservato da Enrico Crispolti nell’introduzione della retrospettiva pordenonese del 2012: «Le nuove strutture non nascondono più […] le componenti di caratterizzazione ambientale (edifici, panorami, eccetera), ma direi appunto che invece le assumono, di volta in volta, in modi diversi e in diverse (occasionate) intenzionalità semantiche».

È possibile notare come la monumentalità raggiunta da Zavagno nelle sue sculture venga ricercata dall’artista anche su tela. Le sperimentazioni portate avanti dallo scultore con l’acrilico non si discostano infatti, se si nota con attenzione, da quanto l’autore insegue nella terza dimensione. Come possiamo osservare nel grande dipinto orizzontale realizzato nel 2005, le stesse strutture volumetriche monumentali incontrate in scultura vengono trasferite nello spazio bidimensionale e appiattite nella bicromia del bianco e nero. Ancora una volta le forme geometriche quasi architettoniche create da Zavagno entrano in dialogo con una tendenza all’organicità, che ha spinto numerosi critici e storici dell’arte a intravedere nelle figure dell’artista anche elementi legati agli organi sessuali. Nel secondo dipinto esposto, datato al 2020 e questa volta caratterizzato da uno sviluppo verticale, una serie di figure piramidali irregolari si sovrappongono l’una sull’altra, svettando sulla superficie della tela quasi come delle cime di montagne. Sempre realizzate sfruttando la bicromia del bianco e nero, queste figure astratte sono rese estremamente plastiche anche grazie ad un sapiente ed insistito uso delle ombreggiature.

Serenella Todesco

Senza titolo, 2001
rete zincata
300x200x50 cm

Senza titolo, 2020
acrilico su tela
130x160 cm